Un microchip sottopelle contro il Parkinson: “Ho vinto la mia battaglia”
Un microchip sottopelle contro il Parkinson: “Ho vinto la mia battaglia”. Impiantato a un paziente di 66 anni un apparecchio grande come un cellulare che contrasta rallentamento e tremori
Approfondimenti
09 agosto 2024
Modena - Gabriele Selmi ha 66 anni. Da otto convive con la malattia di Parkinson. Vive a Castelfranco Emilia, in provincia di Modena, ed è il primo paziente italiano a cui è stata impiantata la versione evoluta di un microchip che tiene a bada il tremore e la rigidità invalidante causati dal Parkinson. La diagnosi della malattia neurodegenerativa è arrivata otto anni fa. Selmi ha progressivamente iniziato a perdere alcune funzioni, quali ad esempio il pieno controllo dei suoi movimenti. “A infastidirmi, in particolare, era quel terribile tremore al braccio destro che mi rendeva difficile anche solo pedalare sulla mia bici”, ha raccontato al quotidiano Il Messaggero.
Dopo l’intervento, racconta: “Una sera sì e un'altra no mi metto in carica quasi come fossi un cellulare e la mattina dopo sono pronto a salire in sella sulla mia bicicletta e a pedalare veloce come non facevo ormai da moltissimo tempo. Sono più veloce, riesco a spingere i pedali della mia bici quasi come facevo prima della diagnosi”.
L’intervento è stato a gennaio all’Irccs, l’Istituto delle scienze neurologiche di Bologna, e gli ha cambiato la vita. “L’impianto di stimolatori nel cervello è una procedura che viene fatta ormai da oltre 30 anni- spiega Pietro Cortelli, direttore operativo dell’Irccs e tra gli scienziati in prima linea nel progetto Mnesys, il più ampio programma di ricerca sul cervello mai realizzato in Italia- quello che abbiamo posizionato nel cervello del nostro paziente è un microchip di ultimissima generazione, che consente di stimolare i nuclei profondi del cervello e allo stesso tempo di registrare l’attività motoria del paziente in modo preciso e puntuale, così da consentirci di modulare e personalizzare la stimolazione in base alle sue esigenze”.
“È simile a un pacemaker cardiaco- aggiunge il medico- che si posiziona nella zona sottoclavicolare”. Altra novità del sistema è che può essere ricaricato dall’esterno, quindi il paziente non ha più l’esigenza di sostituire la batteria. “Lo faccio da solo, in autonomia, appoggiando il caricatore sul mio petto, a contatto con il microchip, per circa 10-15 minuti”, racconta Selmi.
Il primo paziente italiano ad aver beneficiato dell'impianto di questo microchip di nuova generazione non sarà l'unico. Lo stesso intervento è stato fatto su una decina di pazienti, a Bologna e in altre parti d'Italia. Nel frattempo la ricerca va avanti nella speranza di migliorare sempre di più la vita dei malati di Parkinson.