Il computo dei lavoratori svantaggiati nell'impresa sociale
La nota 4097 del 3.05.2019 del Ministero del Lavoro fornisce chiarimenti circa il calcolo della percentuale di lavoratori svantaggiati che una impresa sociale deve assumere
Approfondimenti
09 novembre 2022
La nota 4097 del 3.05.2019 del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali fornisce alcuni chiarimenti circa le modalità di calcolo della percentuale di lavoratori svantaggiati che una impresa sociale deve assumere.Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutti gli enti privati che esercitano in via stabile e principale un'attività d'impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività.(art. 1 D.Lgs 112/2007)
Indipendentemente dal suo oggetto, si considera dunque di interesse generale, l’attività di impresa nella quale vengano occupati soggetti con svantaggio sociale, ovvero quei lavoratori, così come definiti al comma 4 del D.Lgs 112/2017, molto svantaggiati (lettera a) o, persone svantaggiate o con disabilità (lettera b). Pertanto, come disposto dall’art. 2 comma 5 “l’impresa sociale impiega alle sue dipendenze un numero di persone” appartenenti alle citate categorie (lettere a e b) “non inferiore al trenta per cento dei lavoratori”, considerando che, “ai fini del computo di questa percentuale minima, i lavoratori di cui alla lettera a) non possono contare per più di un terzo e per più di ventiquattro mesi dall'assunzione.
Nel parere si chiede in modo particolare:
1) Se il computo della percentuale dei lavoratori svantaggiati debba effettuarsi “per teste” o non con riferimento al “monte ore” lavorate;
2) Se il calcolo della percentuale derivi dal rapporto tra lavoratori svantaggiati e lavoratori non svantaggiati oppure da quello tra lavoratori svantaggiati e totale dei lavoratori (dato dalla somma tra lavoratori svantaggiati e lavoratori non svantaggiati).
Il Ministero, si legge nella nota, non rintraccia orientamenti utili relativi le imprese sociali e ritiene pertanto di rifarsi invece a pronunciamenti di simile tenore riguardanti le cooperative sociali di cui alla Legge 381/1991 che, con il D.Lgs 112/2017 acquisiscono di diritto e con i loro consorzi, la qualifica di imprese sociali.
Pertanto relativamente al primo quesito già con l’interpello n. 17/2015, il Ministero aveva avuto modo di chiarire che, nel caso delle cooperative sociali di tipo b) finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate devono costituire almeno il trenta per cento dei lavoratori dell’impresa, “la determinazione del 30% dei soggetti svantaggiati vada effettuata ‘per teste’ e non in base alle ore effettivamente svolte dai lavoratori stessi”. La motivazione espressa si basava sul confronto con la ratio della legge, che “risiede nel creare opportunità lavorative per quelle persone che, proprio a causa della loro condizione di disagio psichico, fisico e sociale, trovano difficoltà all’inserimento nel mercato del lavoro, anche e soprattutto laddove si richieda loro una prestazione lavorativa a tempo pieno”.
Relativamente al secondo quesito, il Ministero ricorda come già la circolare inps 188 del 17.06.1994 avesse escluso dalla base di calcolo, d’intesa con il Ministero del Lavoro e, allo scopo di favorire il raggiungimento della percentuale minima del 30% anche i lavoratori svantaggiati stessi, “le persone cosiddette svantaggiate non concorrono alla determinazione del numero complessivo dei lavoratori in parola cui ci si deve riferire per la determinazione dell’aliquota delle stesse”
Pertanto, sulla base delle valutazioni sopra effettuate, i criteri di computo dei lavoratori svantaggiati, già utilizzati con riferimento alle cooperative sociali, debbano essere integralmente applicati con riferimento alle imprese sociali, anche al fine di garantire, per ragioni sistematiche, un’applicazione uniforme degli stessi ad entrambi gli istituti.
Si legge nella nota che, ai quesiti rivolti si risponde a seguito di una interlocuzione con la Direzione Generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali e dell’Ufficio legislativo di questo Ministero.
In ultimo e per inquadrare in modo generale la realtà di cui fanno parte le imprese sociali possiamo dire che queste fanno parte degli Enti del Terzo settore (c.d. ETS) che comprendono una molteplicità di soggetti.
La materia è oggetto di revisione a partire dalla Legge 106 del 6 giugno 2016 che delega il governo a riformare il Terzo settore, l’impresa sociale e la disciplina del servizio civile universale. Più recentemente innovata con la pubblicazione del Decreto Legislativo con il 122 del 3 Luglio 2017 che revisiona la disciplina in materia di impresa sociale e che abroga il Decreto Legislativo 155 del 24 Marzo 2006 “Disciplina dell'impresa sociale”. Il più recente Decreto Legislativo 95 del 20 Luglio 2018 integra e corregge quanto disposto dal D.L. 112/2017.
Gli ETS non possono distribuire utili ad eccezione delle Imprese Sociali che possono invece farlo anche se in forma limitata.
Le Cooperative Sociali e i loro consorzi acquisiscono di diritto la qualifica di Impresa Sociale.
Normativa di riferimento
- Legge 8 novembre 1991, n. 381 - Disciplina delle cooperative sociali;
- Circolare inps 17 giugno 1994, n. 188 - OGGETTO: Legge 8.11.1991, n. 381. Disciplina delle cooperative sociali;
- Interpello Ministero del lavoro e delle politiche sociali 20 luglio 2015, n. 17- Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – cooperative sociali di tipo b) – modalità di calcolo dei soggetti svantaggiati di cui all’art. 4, L. n. 381/1991;
- Decreto Legislativo 3 luglio 2017, n. 112 - Revisione della disciplina in materia di impresa sociale;
- Nota Ministero del Lavoro e delle politiche sociali 3.05.2019, n. 4097 - Oggetto: Computo lavoratori svantaggiati nell’impresa sociale.
Immagine tratta da pixabay.com
di Giorgia Di Cristofaro